“Dal Passato” è la nostra serie di longreads su temi legati alla storia del design, del digitale e dell’editoria curate da professionisti appassionati, impegnati a esplorare il mondo di oggi tenendo sempre in tasca le conquiste di ieri. State leggendo il quinto e ultimo capitolo di un percorso nella storia della grafica e dell’editoria indipendente a cura di Francesco Ciaponi.
A concludere il nostro percorso all’interno del misterioso universo dell’editoria indipendente, ci soffermiamo su quella che viene definita la rinascita dei magazine indipendenti.
Cosa significa essere indipendenti oggi
Per capire i motivi dell’ampia diffusione dei nuovi magazine è necessaria una precisazione iniziale e alcuni riferimenti al contesto culturale in cui noi oggi viviamo e leggiamo.
Prima di tutto sgombriamo il campo da ogni tentazione di attribuire al termine indipendente lo stesso significato che storicamente ha avuto, soprattutto in relazione all’editoria degli anni Sessanta.
Non è questa, per motivi di spazio, l’occasione per soffermarci su questo dibattito: semplificando, indipendente può essere un prodotto editoriale “che non dipende, che non è soggetto o subordinato ad altre persone o ad altre cose”[1].
Un nuovo contesto per nuove opportunità
Partiamo dal definire alcuni elementi che caratterizzano il contesto in cui si è inserito il fenomeno dei nuovi magazine: in primo luogo, la centralità del concetto di cultura slow, espresso nel 2012 dallo scrittore Jack Cheng[2] come “l’esigenza di rilassatezza e di digestione lenta dei contenuti”. Come lo slow food e lo slow web, si tratta qui di un ritorno alle origini, quando il contenuto della notizia era più importante del suo essere fruito in tempo reale.
In secondo luogo, la rilevanza del concetto di overload cognitivo, ciò che Joseph Ruff, studioso di scienze dell’educazione, definisce in uno scritto del 2002[3] come il momento in cui si raggiunge il sovraccarico della capacità di elaborazione di stimoli provenienti dall’esterno e la nostra mente comincia a classificare l’informazione in eccesso come rumore.
Infine, come causa e effetto di quanto detto, la riscoperta del cosiddetto longform journalism, sinonimo di accuratezza e affidabilità, che attraverso articoli lunghi, dettagliati e molto approfonditi, si sostituisce alle breaking news e alla tendenza dilagante dello scrolling continuo.
I nuovi magazine: Monocle
Pur non dimenticando gli antesignani quali The Believer di Dave Eggers e ancor prima il leggendario Juxtapoz di Robert Williams, possiamo simbolicamente indicare come inizio della rinascita dei magazine la comparsa sulle scene editoriali della figura di Tyler Brûlé che, dopo aver fondato e venduto la sua prima creatura, Wallpaper Magazine, decide nel 2007 di lanciare il progetto Monocle.
È questo il primo fenomeno che porta alla ribalta un nuovo format di magazine opposto alla tendenza digitale, privo di account sui social netwrok, con corrispondenti da tutte le principali città del mondo.
Nel 2013 Monocle allarga le sue attività realizzando podcast e pubblicando il primo di una serie di libri in collaborazione con la casa editrice Gestalten.
Il caposaldo del format di Monocle è chiaro: una ferrea e quasi religiosa fede nel brand.
Monocle dà ampio spazio a contenuti di qualità e profondità, per lo più longreads, per dare vita a un concentrato globale di report su stili di vita provenienti dai luoghi più impensati. Monocle si rivolge a un’audience elitaria, lontana dalla cultura popolare, alla ricerca di una deriva da status symbol oggi ampiamente raggiunta.
Oltre Monocle: nuovi magazine, per tutti
Gli effetti sul mercato editoriale della strada aperta da Monocle sono principalmente due: l’estrema eterogeneità e specificità dei contenuti dei nuovi magazine e la cura artigianale nei confronti di tutto il processo di produzione.
Per quanto riguarda il primo punto l’individuazione di un target ristretto, una nicchia dai confini definiti, si può dire che sia uno dei momenti più importanti per pensare il progetto editoriale intorno al quale realizzare un magazine. Più si è in grado di individuare un idealtipo di lettore con poche ma specifiche caratteristiche, più si raggiungerà l’obiettivo di farlo sentire al centro del progetto. A riprova di questa estrema ricerca di particolarità, è interessante notare che, oltre a temi più consueti come lifestyle, fashion, sport, grafica, food e viaggi, esistano magazine sulla valorizzazione degli archivi, sulle donne che coltivano marjiuana, sulle persone dai capelli rossi.
Secondo aspetto fondamentale dei nuovi magazine è l’attenzione, spesso maniacale, per ogni dettaglio, dai materiali al contenuto. Più che al mondo della classica editoria, ci troviamo quindi molto più vicini a quanto descritto da Richard Sennett nel suo L’uomo artigiano[4], dove l’artigiano rappresenta in ciascuno di noi il desiderio di fare bene una cosa, con concretezza e per desiderio personale.
La cultura del magazine
Il movimento che si è formato intorno a questi nuovi prodotti negli ultimi anni è stato promotore di quella che possiamo definire una cultura del magazine. Esistono siti come lo storico magculture.com di Jeremy Leslie o stackmagazines.com in cui oltre a poter acquistare riviste è possibile fruire di contenuti come video e audio-recensioni, partecipare a conferenze e appuntamenti dedicati a specifici temi relativi al magazine come la distribuzione, la grafica e molto altro ancora.
C’è cultura del magazine quando si sottoscrive un abbonamento su Stack che prevede la ricezione non di un magazine scelto da noi, ma di un prodotto scelto da Stack stesso per far assaggiare un pizzico di quella moltitudine di temi e interessi di cui abbiamo accennato prima.
C’è cultura del magazine quando, sempre su iniziativa di Stack, si segue l’andamento degli Stack Awards, i premi annuali assegnati ai magazine in base a categorie quali: Magazine of the Year, Launch of the Year, Editor of the Year, Art Director of the Year, Cover of the Year e altro ancora.
In Italia
Anche nel nostro paese si sta sviluppando un sottobosco relativamente ricco di attori e progetti interessanti. Se per quanto riguarda i magazine esistono realtà di assoluto rilievo come Archivio, RVM, Sirene, Athleta, Cartography, Dispensa e altre, esiste un movimento trasversale attivo nel promuovere e diffondere questo mondo.
Ritornando al concetto di cultura del magazine, basti pensare a realtà fisiche già strutturate quali Edicola 518 o Reading Room, luoghi dove la materialità ritorna al centro del progetto editoriale e respirare l’odore delle pagine è parte integrante di una nuova esperienza di lettura.
A essi si affiancano nuovi esperimenti quali la Libreria Verso, il Bar Lento o l’Edicola Bosco quest’ultima inserita all’interno di un negozio di piante. Oppure guardando al mondo dello shopping digitale esiste Frab’s Magazine che, ritornando al tema della cura maniacale per il prodotto e il processo editoriale, realizza e spedisce pacchetti personalizzati a tutti i clienti.
Per chiudere il cerchio, si fa per dire
L’editoria indipendente è un territorio tanto vasto quanto inesplorato, che si snoda nel tempo e nello spazio e che si contraddistingue per un elemento centrale, forse l’unico onnipresente, che è quello della continua ricerca di libertà espressiva.
Una ricerca testarda, romantica e spesso folle, ma che non è destinata a scomparire se è vero che “a volte perdi una battaglia, ma gli indisciplinati vincono sempre la guerra”.
Crediti
Foto 1: The Believer No.1, Marzo 2003
Foto 2: Monocle No.1, Febbraio 2007
Foto 3: Broccoli No.1, 2018
Foto 4: MagCulture – 270 St John Street, Clerkenwell, London
Foto 5: Stack Magazine
Foto 6: Archivio Magazine No.5, 2020
Foto 7: Reading Room
[1] Definizione della Treccani.
[2] Maggiori informazioni sul concetto di Slow Web qui.
[3] Information Overload: Causes, Symptoms and Solutions, Joseph Ruff, 2002.
[4] L’uomo artigiano, Richard Sennett, Feltrinelli, Milano, 2013.